Vai al contenuto

Le parole sono importanti – 3

19/03/2017

Nel fatato mondo della scuola è ormai storia antica il concetto di programma, sostituito dalla più dinamica, moderna, avanguardistica programmazione in base alle indicazioni nazionali e alle linee guida del ministero (proprio così: per i Licei ci sono le indicazioni nazionali, per i Tecnici e Professionali le linee guida, e no, non chiedetemi il perché, che poi manco lo voglio sapere) che si articolano in obiettivi specifici di apprendimento, vale a dire conoscenze, capacità e competenze.  Anche qua evito di mettere i link, ma sappiate che sono dei mantra che vengono ripetuti dalla riforma Berlinguer ai giorni nostri. La programmazione, rispetto al programma ministeriale, è modulare, è adattabile alla classe attraverso le unità didattiche, ops pardon, le unità di apprendimento che hanno sostituito le unità didattiche (chiamarle “argomenti” significherebbe ordunque accettare il retaggio gentiliano, novecentesco, impositivo, mai sia, ptù, ptù) perché le unità didattiche sono fisse, mentre le unità di apprendimento no, sono fighe, sono adattabili alla classe eccetera. Come? Nessuno lo sa, ma avete presente i misteri della fede? Ecco, le normative scolastiche e i commentari sono in pratica il Nuovo Testamento della Scuola Italiana. Testamento, ovviamente, nel senso che la Scuola Italiana sta per schiattare.

Ma torniamo a bomba. La programmazione è in pratica il programma che si svolgerà durante l’anno, e che il dipartimento prevede a inizio anno e che ciascun docente deve fare entro metà novembre. Sì, capito bene. Ci sono indicazioni ministeriali, da cui poi il dipartimento deve estrarre i programmi della scuola da mettere nel Pof o negli allegati, e poi ciascun docente deve ripeterlo in un apposito documento, l’ennesimo documento da stilare la cui utilità sembra essere minore di un rotolo di carta igienica già sporco di merda. A un occhio distratto parrebbe essere una cosa fighissima, libertaria, basta-con-i-programmi-ministeriali-fuori-dal-mondo-e-dal-tempo-è-ora-di-adattare-la-scuola-ai-tempi-moderni. Sembra dare più libertà al docente, libero dalle gabbie liberticide del programma ministeriale. E invece. Invece è un dito in culo, perché l’inutile programmazione individuale preventiva è un inutile doppione sia della programmazione finale, l’unica veritiera perché fatta a posteriori, sia della programmazione di dipartimento –a sua volta inutile doppione delle indicazioni nazionali, anche se rispetto a queste ultime c’è la quota dell’autonomia, una roba fatta a suo tempo per compiacere i leghisti, come se insegnare la letteratura italiana in Val Puzzonia dovesse necessariamente integrare un’unità didattica, anzi di apprendimento, pardon, che capra che sono, dicevo come se in Val Puzzonia non fare lezione sulla glorietta locale Loredano Sputruzzulli, autore di ben quindici strambotti in un ibrido tra dialetto valpuzzonese e italiano fosse un’insopportabile discriminazione verso l’identità locale. Inoltre, la programmazione è anche un’arma a doppio taglio perché ti vincola non a contenuti che già sai esserci, ma te li devi casomai inventare, e devi prevedere pure quando li tratterai, e magari inserirci qualcosa (la quota autonomistica, che mi viene da ridere quando penso a materie come matematica, latino e greco, e mi viene da piangere quando penso alla storia perché non riesco a levarmi dalla mente il pensiero di qualche storico locale che fa pressioni sui docenti per far trattare dell’importantissima e avvincentissima storia della pisciata che fece Carlo III di Durazzo su un muro di una fattoria mentre passava per andarsi a prendere il trono e deporre Giovanna I, e su quel muro c’è una lapide, HIC MINXIT KAROLUS A.D. MCCCLXXXI, rimossa dall’usurpatore Luigi e ricollocata al suo posto dal legittimo erede dell’illegittimo Carlo, Ladislao di Durazzo: guagliù, qui ci è passata la Storia!). Oltre quindi a legarti mani e piedi da solo a un programma che con la scusa della libertà e dell’innovazione ti lascia solo con te stesso, oltre a farti, di contro, ripetere quello che è già contenuto in un paio di documenti preesistenti –e alcuni libri scolastici infatti ti danno una programmazione già bell’e fatta, in formato .doc quindi modificabile, ma in pratica sono pochi, giustamente pochi, quelli che la modificano, per non perdere ulteriore tempo appresso a carte inutili–, pretende che tu abbia già chiaro che cosa farai nel corso dei mesi, dettagliatamente (a ottobre tratto questo, questo e quest’altro argomento, a novembre questo e quest’altro, scansione che a volte si trova pure nelle programmazioni di dipartimento), con alunni che magari non hai mai visto e che non sai se seguono, se studiano, se si distraggono. Le scuole più hardcore vogliono pure che tu prepari le unità di apprendimento, un paio di paginette per ciascun argomento –quindi alla fine in pratica fai un libro per ciascuna classe– con obiettivi, tempi, contenuto, modalità di verifica e tutta questa bella fuffetta da burocrazia sovietica, in base alla quale puoi essere controllato, redarguito, e magari pretendono pure che tu ti discolpi con appositi documenti se non è colpa tua per non essere riuscito a fare, che so, Cesare in 5 ore ma in 7 –sacrificando magari Sallustio– perché i ragazzi non capiscono espressioni difficili tipo «Cesare nacque a Roma nel 100 a.C.» e lo devi ripetere quelle 3-4 volte perché sennò dicono che corri troppo col programma e non aspetti gli studenti in difficoltà, non ti sei adeguato entusiasticamente alla scuola dell’inclusione e non ti preoccupi di garantire il successo formativo a tutti, anche a coloro che trovano difficile studiare la quinta declinazione perché, beh, un conto è rosa-rosae, un conto è dies-diei, oh uno si imbroglia, si confonde!

La programmazione, quindi, lungi dall’essere la liberazione dalle catene del fascistissimo programma ministeriale, si traduce in un aggravio di lavoro per scuole e docenti, in un’occasione di scazzo tra i loredanosputruzzullisti e gli antiloredanosputruzzullisti –non è che prima non si avesse la libertà di introdurre argomenti al di fuori dalla stretta aderenza al programma, al mio liceo si studiava approfonditamente Isabella di Morra ben prima dell’avvento del Berlinguer sbagliato–, in un cappio al collo che ti lascia penzolare come prima e più di prima, solo che prima almeno non pretendevano che tu per impiccarti dovessi prima fabbricarti da solo la corda. E nella solitudine del docente, che al di là delle genericissime linee guida, indicazioni nazionali, obiettivi specifici di apprendimento da trasformare in obiettivi formativi (ah ah ah), è lui che deve inventarsi il programma, deve trovare le competenze da sviluppare in un programma di greco di quarto ginnasio, sennò senza competenze mica si va avanti, è lui che all’atto pratico –visto che il nuovo Verbo è la praticità– si trova in classi pollaio a tirare la carretta e a ricevere calci in faccia se la classe è composta di gente che non vuole studiare.

Qui la prima e la seconda parte, qui la quarta e un post altrui.

Lascia un commento